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venerdì 25 ottobre 2013


Avevo un amico di Trieste che studiava medicina, si stava specializzando in neurochirurgia, ora ci siamo persi di vista ma mi ricordo bene una cosa che mi disse parlando dei suoi studi. La medicina è una scienza tutt'altro che perfetta. Non è matematica, c'è molto spazio per l'interpretazione.
Non si sbagliava il mio amico. Almeno, a giudicare dalla mia esperienza personale degli ultimi giorni con l'infortunio che sto patendo.
Passando in rassegna i vari referti, cominciamo col primo seguito alla risonanza magnetica nella quale mi si diagnosticava, sostanzialmente, una frattura da stress al calcagno. Sento  un caro amico che lavora nel centro dove mi hanno fatto la risonanza e che sente il parere del medico che ha preso visione dell'esame. La cura, indicativamente, doveva consistere in 30/40 giorni di riposo con qualche terapia indicata dall'ortopedico cui avrei sottoposto l'esame.
Piuttosto ringalluzzito dal periodo breve di stop cui mi sarei dovuto attenere fisso dunque appuntamento con medico ortopedico. Questi studia l'esame, borbotta qualcosa e scuote la testa. Caro mio - mi dice - qua c'è una frattura da stress piuttosto importante ma c'è anche del versamento che evidenzia una certa sofferenza dell'osso. Se non vuoi che ti ingessi ti prescrivo stampelle, iniezione del farmaco x (usato per la cura dell'osteoporosi) e, soprattutto, 20 sedute da due ore di camera iperbarica (per la quale avrei dovuto sottopormi a RX del torace e a Elettrocardiogramma). Me ne esco bello abbacchiato ma piuttosto convinto a sentire una seconda opinione. Dura sostenere la cura prevista.
Prendo appuntamento con un secondo ortopedico il quale capovolge la diagnosi. Non si tratta di frattura da stress ma di Algodistrofia dovuta all'intenso allenamento dell'ultimo periodo. Due mesi di magneto terapia.
Va già meglio, i tempi si dilatano ma almeno ho una cura sostenibile che mi consente anche di praticare nel frattempo qualche altra attività, nuoto o bici. Come anche il primo ortopedico anche questo mi informa che ho piedi sostanzialmente piatti e mi consiglia dunque di adottare dei plantari.
Successivamente a questo esito, risento il mio amico della risonanza magnetica e gli racconto della diagnosi di Algodistrofia. Il mio amico si stupisce e torna a verificare l'esame col medico radiologo il quale, dopo attento esame, conferma non si tratta di algodistrofia ma proprio di frattura da stress.
Alla fine, le cure da sostenere, bene o male sono le stesse. Camera iperbarica se voglio metterci un mese, magneto terapia se mi accontento di guarire per Natale.
Alla fine opterò per la seconda delle ipotesi, curioso il modo in cui sia giunto alla cura. Per vie, diciamo così, perlomeno traverse.

Detto questo, ci tengo a precisare che non ce l'ho affatto con la medicina moderna. Tra la medicina e la preghiera, per guarire da un malanno, mi affiderò sempre alla prima. Resta il fatto che non la si può considerare come una soluzione perfetta per tutto. Anche la medicina ha le sue imperfezioni, l'importante è prenderne atto. A quanto pare però, i primi a saperlo sono proprio i medici stessi e questo, forse potrà sembrare strano, ma mi tranquillizza molto.

lunedì 14 ottobre 2013


Il nome del post, che poi è anche l'infortunio nel quale sono incappato, la dice tutta.
Ho una frattura.
E' stata causata dallo stress.
Per stress non si intende stress lavorativo ma si intende stress fisico. L'osso in questione è stato stressato particolarmente durante la preparazione per Berlino e, ad un certo punto, ha ceduto.
Il risultato è stato il dolore avvertito a dieci giorni dalla maratona e quello, molto più localizzato e presente, patito durante la corsa.
Dalla risonanza magnetica la frattura è ben visibile ed è localizzata nella parte esterna del calcagno. Da quel che mi dicono non è nemmeno così piccola, evidentemente i 30 km ai quali l'ho sottoposta in quel di Berlino le sono stati d'aiuto per espandersi.
Venerdi ho la visita dall'ortopedico che mi dirà per quanto tempo devo stare a riposo e se ci sono eventuali cure cui sottopormi per accelerare il recupero.
Per il momento mi dedico a qualche esercizio di addominali e piegamenti sulle braccia, giusto per non stare del tutto fermo e provare in qualche modo a sfruttare questa pausa forzata.
Dovrei andare in piscina e nuotare. Lo so. Però è più forte di me, la piscina proprio non mi attira. Magari in settimana provo a fare uno sforzo, sia mai che poi scopro che mi piace.
Non credo.

Nel cerchio in rosso la frattura. Quella roba nera in mezzo al bianco

mercoledì 9 ottobre 2013


Me la ricordo bene la prima volta che sentii parlare del disastro del Vajont. Ero piccolo, avrò avuto 7 o 8 anni e sentivo mio papà parlarne con un amico.
Chiesi a mio padre che mi raccontasse cosa fosse successo in quel gran disastro di cui parlavano e lui, per farmelo capire, mi disse che un lago aveva tracimato perchè un pezzo  di una montagna c'era caduto dentro e l'acqua uscita aveva travolto il paese sottostante. "E' come se prendi un bicchiere pieno d'acqua e ci butti dentro un sasso, l'acqua se ne esce di fuori no? Ecco, così è accaduto anche con la diga"

Allo stesso modo, il giorno successivo al disastro, nel 1963, Dino Buzzatti aveva scritto un articolo sul Corriere della Sera dove usava la stessa similitudine:
"Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi."

Alle 22.39 di oggi saranno trascorsi esattamente 50 anni dal momento in cui, nella zona di Longarone, si scatenò l'inferno.
Sarà che è una tragedia che fin da piccolo mi ha colpito e affascinato. Forse per il fatto che era vicina a casa e che davanti a quella diga, che ancora oggi è poco meno che completamente intatta,  ci passavo sempre per andare in montagna. O forse perchè è una storia terribile e incredibile e uno non può restarne indifferente.
O ancora perchè è un avvenimento che io non ho vissuto ma nella mia famiglia i più vecchi se lo ricordano bene e sanno raccontarmi dov'erano e cosa facevano quando accadde.
Sarà per tutto questo ma l'anniversario del Vajont è una cosa che mi va di ricordare. In particolare oggi che ricorrono i 50 anni da quel giorno.
Non so se sono un tipo sensibile, ma sono sensibile a quanto avvenne quel giorno e quindi lo voglio ricordare. 
Tutto qua.

giovedì 3 ottobre 2013


Al di la della città, che mi ha letteralmente stregato, dalla capitale Tedesca porto a casa anche un bel monte di cose dal punto di vista della corsa e di quelle che sono le mie aspettative per il prossimo futuro podistico.
Mentre rientravo all'ostello dopo il ritiro, sulla mia bella biciclettina a noleggio, consideravo alcune cose relative alla gara. Al di la dell'infortunio ho realizzato che stavo correndo davvero bene. Oddio, forse non ero perfettamente in equilibrio a causa del dolore al piede, ma il ritmo che stavo tenendo mi sa proprio fosse quello giusto.
In gara sentivo di faticare poco. Temevo comunque di essere partito troppo forte 4'/km  contro i 4' 05 pianificati, ma il responso che il cardio mi restituiva risultava essere molto incoraggiante.
Ho realizzato che il personale sarebbe venuto sicuramente e che, anzi, molto probabilmente avrei chiuso la maratona sotto le 2 ore e 52 preventivate alla partenza. Per carità, all'appello mancavano ancora gli ultimi km, quelli più duri, dove tutto può succedere ma sentivo di correre davvero piuttosto facile e in controllo. Un'eventuale crisi mi sembrava davvero lontana. Come ha detto un mio compagno che mi ha visto mentre camminavo, sembrava avessi finito una partita di scacchi più che aver corso per 30 km a 4' di media.
Ed in effetti, muscolarmente, non ho avvertito alcun problema ne nelle ore successive e nemmeno il giorno dopo. Tutto tranquillo, piede a parte.
Insomma, tornavo all'ostello sulla mia biciclettina a noleggio e realizzavo che il lavoro fin qui fatto sta dando i suoi frutti. Se mi rimetto in sesto per il mese prossimo varrà come ottimo allenamento e a Venezia si può partire allo stesso ritmo mantenendo intatti gli obiettivi di Berlino, con la consapevolezza che si potrebbe puntare addirittura a qualcosa di più.

mercoledì 2 ottobre 2013


26 km, tanto sono durati i miei sogni di gloria, poi mi sono dovuto arrendere. Per la prima volta mi sono ritirato in una maratona. Ritirarsi è una brutta cosa, è brutto farlo in una piccola gara, è pessimo doverlo fare in una maratona così popolata e sentita dal pubblico come quella di Berlino.
Un gran peccato, col senno di poi non sarei dovuto partire ma come si fa ?
Il tutto è cominciato venerdi scorso. A 10 giorni dalla maratona avverto in allenamento un dolorino alla pianta del piede destro. Boh, penso, una robetta, domani passerà. Il giorno dopo però il dolore è ancora li, decido di riposare il Sabato e di correre Domenica l'ultimo allenamento importante (circa 20 km). Cambio anche scarpe per l'occorrenza. L'allenamento va bene, il piede fa un po' male ma il dolore è alterno e quando mi scaldo pare passare.
Riposo Lunedi, riposo Martedi mentre Mercoledi faccio un breve allenamento leggero prima di andare dal fisioterapista per un massaggio di scarico e per verificare il dolore alla pianta del piede.
Il fisio mi tratta con violenza e mi fa veramente molto male soprattutto nella zona della caviglia. Esco tumefatto ma speranzoso.
Giovedi riposo, Venerdi ultimi 7 km tranquilli. Il piede non è ancora al 100%. Ora sento il dolore più sotto al tallone rispetto all'iniziale localizzazione. Penso sia per il "trattamento" del fisio e, fiducioso, spero che il giorno dopo sarà passato tutto.
Invece non passa. Mi duole un po' quando cammino, a volte sembra passare, altre volte il dolore si sente. Si fa vivo particolarmente quando faccio determinati movimenti.
Arrivo a Sabato sera, sono a Berlino, ho un pettorale, un'ottima preparazione ed un'incognita per quel che riguarda il mio piede destro. Sono sicuro però che appena esploderà il colpo di pistola tutto passerà e potrò fare la mia corsa.
La mia previsione purtroppo non si avvera.
Prima dello start mi riesce tutto. Consegno la sacca senza intoppi, riesco a fare pipì un paio di volte, ritrovo i miei amici persi in partenza e riesco anche ad intrufolarmi nella griglia C (contro la D del mio pettorale) dove erano destinati i runners con ambizioni tra le 2h e 50 e le 3 h. La mia griglia insomma.
Allo sparo sono dietro ad un paio di compagni di squadra e molto vicino alla linea di partenza. Tutto perfetto. Fino a quando comincio a correre.
Dal primo passo di corsa avverto dolore, il secondo non va meglio e così anche il terzo. Penso ci vorrà del tempo, il piede si scalderà ed il dolore sarà solo un ricordo.
Invece non accade.
Passano i km. Io mantengo il ritmo prefissato, anzi, vado pure più veloce (intorno ai 4' al km costanti) e gestisto bene lo sforzo. Ma ogni volta che appoggio il piede destro avverto dolore.
Diventa come la goccia del rubinetto che perde.
Tic-tic-tic.
Regolare.
Ogni contatto genera dolore al tallone. Provo a non pensarci ma, ogni tanto, arriva qualcosa a ricordarmi che il problema è ancora li e quindi ancora tic-tic-tic.
Penso che correrò una maratona avvertendo dolore dal primo all'ultimo passo. Mi importa poco pur di continuare così e di tagliare il traguardo.
Mi concentro, corro bene e provo a focalizzarmi su altro. Ci riesco a tratti alterni.
La mia gara prosegue fino alla mezza maratona con ottima regolarità. Li comincio a pensare che non ce la posso fare a gestire quel dolore per un'altra ora e mezza. Ma non mi arrendo, ci provo. Stringo i denti e proseguo ma poco dopo mi rendo conto che è solo questione di km, forse di centinaia di metri.
Ancora non mollo, mi accorgo però che sto correndo storto. Quando arriva il momento del piede destro cerco un appoggio leggero e vado a compensare con la gamba sinistra. Da li a poco cominerà a dolere anche quella. Ovvia conseguenza di una corsa innaturale.
Non si può andare avanti così. Rallento e mi arrendo mettendomi al passo.
Passo al 30° km in 2 ore e 02 minuti, forse è anche personale sulla distanza, ma in quel momento mi curo solo del mio piede che mi duole anche mentre cammino.
Cerco di ritirarmi ma è difficile. La gente ti incita a proseguire e a riprendere la corsa, ti chiama per nome e ti incoraggia. E, oltre a ciò, devo trovare l'assistenza medica per procedere col ritiro.
Nonostante la disfatta sorrido a tutti e cerco di non prendermela. Forse sarà apparso strano vedere qualcuno di così fresco proseguire al passo. Ma, effettivamente, stavo bene e non riportavo grossi segni di stanchezza. Ed essere li in mezzo è comunque una festa.
Dopo lungo peregrinare trovo i medici. Mi riparo dal freddo nella tenda e sotto ad una bella coperta che mi mettono sulle spalle. La giornata è soleggiata ma la temperatura è bella fresca (ideale per una maratona). Nei tratti all'ombra, stando fermi, si gela. Mi comunicano che per ritirarmi devo attendere il servizio scopa che arriverebbe da li a 2 ore e mezza. Sorrido ma declino l'invito e provo a ripartire. Faccio un altro km e incontro un nuovo punto di assistenza medica. Chiedo info anche a loro e questi mi dicono che posso raggiungere la finish line tramite la metropolitana. Meno male.
Così faccio e, dopo un po' di cambi di treno, ritorno di fronte al Reichstag per il recupero sacca e il ritorno all'ostello.
Una serie di considerazioni mi vengono in mente mentre ritorno ma, per quelle, farò un post apposito.
Intanto vi ho raccontato la cronaca di questa Berlino Marathon che proprio bene non è andata.
E vi dico anche, per concludere, che Il giorno successivo, alle ore 12.00, hanno aperto le preiscrizioni per l'anno 2014.
Secondo voi, chi è stato il primo a preiscriversi per il prossimo anno ?

 
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