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giovedì 30 maggio 2013



(Seconda Parte...)
La mail dice: "ci sono state delle esplosioni all'arrivo della maratona". Niente di più. Accendo la televisione e penso che si tratti di qualche petardo o cose così ma le immagini che giungono dallo schermo mi fan capire ben presto che la situazione è ben più grave.
In poco tempo cominciano a girare voci di attentato terroristico e la sensazione di euforia, che fino a poco prima mi pervadeva, scompare del tutto. Per prima cosa mi assicuro che gli amici presenti a Boston fossero sani e salvi ed al sicuro. Per fortuna è così. Da li cominciano a rimbalzare notizie contrastanti. Prima pare che siano stati ritrovati altri ordigni inesplosi, poi sembra che ci siano state altre esplosioni. Continuano ad arrivare immagini, testimonianze e una gran confusione.
Da casa la gente mi contatta preoccupata. Cerco di tranquillizzare tutti e di vivere la situazione nella maniera più razionale possibile. Mi contattano vari giornalisti, chi per email, chi per telefono. Finisco su La Stampa e su altre testate locali riuscendo invece a schivare l'intervista di un paio di TG locali che mi richiedevano di raccontare emozioni e dettagli che non volevo e non sapevo dare (a tal riguardo, torna sempre utile questo capolavoro).
Da li in avanti le notizie e le sensazioni si evolvono. La paura iniziale lascia via via il posto ad un sentimento diverso. Forse è orgoglio, forse è senso di giustizia ma, alla fine, emerge sempre più evidente il sentimento della città di non lasciarsi sopraffarre da gesti di questo tipo. E di pari passo con Boston va anche il mio stato emotivo. Se, una volta appreso delle esplosioni, pensavo sarei rimasto rinchiuso in hotel per tutto il tempo, una volta vista la reazione dei bostoniani ho cambiato idea. Non c'è da aver paura. Suonerà retorico ma la realtà è che anche la paura va meritata. In questo caso, gli autori di un gesto come quello compiuto all'arrivo della maratona di Boston, non si meritano proprio un bel niente. Nemmeno la paura.

Il resto della storia lo conoscete già. Ne ho scritto qui e qui e, a distanza di tempo, non ho cambiato idea. L'anno prossimo si torna a Boston a correre e festeggiare la maratona più bella cui mi sia capitato di prendere parte.
Chi viene con me ?

giovedì 9 maggio 2013


(Prima Parte...)
Realizzato che, si effettivamente, la partenza è questa, non resta che attendere gli ultimi istanti. Il momento dello start si avvicina ed ecco che viene osservato un momento di raccoglimento in silenzio in memoria delle vittime della sparatoria di Newton. Terminato il momento di silenzio parte l'inno. Ormai al via manca davvero poco. Rimango un po' deluso per l'assenza del passaggio dei caccia ma poco male. C'è comunque un bel sole che splende e tanto mi basta.
Alle 10.00 lo starter esplode il colpo che da il via alla gara. Io e l'amico Massimiliano ci diamo l'in bocca al Lupo e partiamo. Il serpentone comincia a muoversi e, in poco tempo, mi ritrovo a passare sopra alla linea di partenza. Si aprono le danze, comincia la maratona di Boston.
Si parte in discesa, e questo si sapeva. Ma la discesa è davvero bella tosta. Trattengo le gambe e penso a fare poca fatica. L'operazione pare riuscire, osservo il nutrito gruppo di runners davanti a me dal punto più elevato in cui mi trovo, l'ondulazione della strada permette di scorgere chiaramente la massa di maratoneti che mi precedono. I primi metri si corrono in mezzo ad un boschetto e le persone che si incontrano a bordo strada sono poche. Ma è solo un attimo. Ben presto il boschetto lascia posto a case e a giardini e la presenza di persone che urlano ed incitano, da qui in avanti, è costante.
Terminata la discesa iniziale si sale leggermente per poi ridiscendere ancora. E' un continuo saliscendi, nella prima parte si scende più che salire ma, comunque, non c'è un tratto di piano che sia uno.
Lungo il percorso incontriamo una serie di paesi che non aspettano che il nostro arrivo. Probabilmente il passaggio della maratona è l'evento che attendono più di ogni altra cosa all'interno dell'anno. Sono tutti agghindati con cartelli, bicchieri d'acqua, striscioni e quant'altro.
Al km 7 incrociamo un top runner africano a bordo strada. Ritirato. Dico a quelli che mi sono attorno in quel momento: "Forza ragazzi che uno è andato, la vittoria è più vicina!". Mi risponde un urlo di entusiasmo collettivo.
Qualche km più in la mi ritrovo a ridere per un cartello di un ragazzo che recitava: "Run faster, i just farted!" che tradotto è "Corri più veloce che ho appena scoreggiato!".
E poi, attorno al km 20, comincio a sentire un vociare più forte arrivare verso di me. Ben presto il vociare diventa un urlo acuto e allora capisco, è il Wellesley College.
In poco tempo mi ritrovo in un tratto popolato di studentesse del college femminile che offrono i loro baci ai maratoneti in transito. E' il delirio. Gente che si ferma buttandosi a pesce, altri che si scontrano con quelli appena fermati. Regna il caos. Ed è bellissimo. Non puoi fare a meno di sorridere. Osservo pensando al da farsi, poi non ci penso più e mi fermo pure io per un paio di "stampini" sulla guancia. Riparto inebriato. A che ritmo sto andando? A che km sono? Ma chissenefrega corro e basta nel mezzo della maratona più  bella del mondo.
Mi riprendo quasi un km dopo con il passaggio alla mezza e mi ritorna in mente quanto realizzato già al passaggio del 10° km. Sto andando forte, poco sopra i 4'/km che vorrebbe dire finire la maratona con un tempone.  Ci credo, anche perchè non mi sento stanco. Sto correndo bene e mi sto divertendo.
Qualche km dopo però il motore comincia a dare segnali di difficoltà. Si accendono alcune spie ed il percorso si fa meno semplice. E' sempre in saliscendi ma adesso si sale più che scendere. Accuso di brutto. In poco tempo passo da uno stato di grazia ad  uno stato di crisi. Il fianco destro, sempre lui, comincia a dolermi e capisco che o le cose girano oppure devo archiviare i sogni di gloria. Resisto più che posso ma la situazione va peggiorando. Provo a rallentare, a respirare, a rilassarmi ma non c'è niente da fare. Corro sempre più contratto, la respirazione è estremamente difficoltosa e non ho altra scelta. Dopo il km 30 mi metto a camminare.
In un batter d'occhio vengo superato da una miriade di maratoneti. Pare di essere soli, in mezzo all'autostrada, nell'ora di punta. Sfrecciano da tutte le parti ed  io non riesco a reagire. Il pubblico è commovente. Mi incita, mi sostiene e prova in tutti i modi a farmi ripartire. Ogni tanto ci provo ma desisto qualche centinaio di metri più in la. Fa veramente male e, in poco tempo, mi ritrovo esausto. Le gambe paiono non essere le mie, deboli e doloranti, no, non possono essere le mie.
Alla fine realizzo quello che c'è da fare. Correre per quel che si può e godersi la maratona. Gioco col pubblico, do il 5 a chiunque. Rispondo ai richiami e agli incitamenti. Funziona. La strada passa e bene o male mi avvicino al traguardo.
Intorno al quarantesimo km decido di farmi l'ultima passeggiata prima dell'arrivo. Mi guardo intorno e, dall'altra parte della strada, scorgo un altro maratoneta che avanza in maniera scomposta. Capisco subito che è allo stremo. E' sfinito. Barcolla come Dorando Pietri all'ingresso dello stadio alla maratona di Londra. Gli altri runners lo superano concentrati sulla loro corsa. Allora attraverso la strada, lo avvicino e gli metto un braccio sotto la spalla. Appena sente il contatto si abbandona e mi ritrovo a sostenerlo. Scorgo un poliziotto, poco più avanti, quindi sostengo il runner e lo consegno tra le braccia dell'ufficiale. Faccio gli auguri al tipo e riparto verso il traguardo e un'ovazione si leva dal pubblico nei miei confronti. Vedi ogni tanto, a tralasciare gli obiettivi cronometrici in maratona!?!
Corro gli ultimi 2 km tra pubblico e sofferenza. Sono sfinito, ho lottato con la mia condizione fisica, con la fatica e con una vocina che continuava a dirmi di fermarmi e di prendermela comoda. Imbocco il retilineo finale dopo un ennesima salita e mi porto sul lato sinistro della strada dando il 5 a tutta la fila di spettatori. Incredibile vedere come si sporgano quando vedono un runner che sta al gioco. Purtroppo proprio da quel lato avverranno le esplosioni circa un'ora dopo.
Completo anche l'ultimo tratto e finalmente taglio il traguardo in 3 ore 7 minuti e 30 secondi. Esulto. Non sono soddisfatto del tempo ma sono soddisfatto di aver portato a casa la maratona. E mi è costato molto. Ho davvero fatto una corsa di resistenza. Avanzo lungo la strada, ricevo la mantellina di stagnola e, finalmente, la tanto agognata medaglia.
Me la mettono al collo e subito la prendo in mano e la guardo. E' proprio bella. Avanzo continuando a fissarla e a studiarne i particolari. Me la gusto. E mi vien da pensare che me la sono proprio guadagnata. Ho stretto i denti, ho lottato e quella medaglia è il giusto riconoscimento per aver onorato questa maratona fino in fondo. Tra le medaglie che ho a casa so già che questa ha un posto speciale.
Il tempo di raccogliere un po' le idee ed ho già deciso che di gare belle come questa ancora  non mi era capitato di correrne. Tutto quanto si dice di bello sulla Boston Marathon è pura verità. Ed il fatto che l'elevata aspettativa non venga delusa le conferisce un valore ancora più elevato.
Cammino continuando a stringere la medaglia e a sorridere soddisfatto e fiero.
Quindi vado a recuperare la mia sacca con gli indumenti. Mi cambio velocemente e vado verso la metropolitana per rientrare in albergo.
Lungo la strada la gente comincia a fermarmi e a farmi i complimenti per la maratona appena corsa. "Congrats!", "Good Job Man!" e via così. Sul vagone del treno un signore mi chiede in che tempo ho chiuso e alla mia risposta si complimenta per l'ottimo risultato. Altre persone sedute sentono il discorso e, tra di loro, si scambiano commenti sulla mia prestazione: "Hey, ha fatto 3 e 07, è un buon tempo!". Non posso fare a meno di sorridere. Inebetito ed inebriato. Mi sento il re del mondo. Se prima avevo deciso che era la maratona più bella che avevo mai corso, ora penso che è il viaggio più bello che ho mai fatto.
Vorrei rimanere in giro, con la medaglia al collo, in eterno, ma arrivo alla mia fermata e devo scendere. Rientro in camera dopo un ulteriore bagno di complimenti e qui controllo il telefono dove mi è arrivata un'email.
In un attimo tutto cambia.
(continua...)

mercoledì 8 maggio 2013


Boston è una città molto bella. Me ne rendo conto praticamente subito, quando emergo dalla stazione della metropolitana per cercare l'hotel. Subito mi imbatto nella linea rossa del Freedom Trail, in pratica una linea, prevalentemente formata da mattoni, che corre lungo la città. Seguendola si incontrano varie tappe che hanno fatto la storia di Boston e degli USA. I monumenti commemorativi fungono da intervallo lungo il percorso.
Arrivo di Sabato, nel pomeriggio. Riesco subito a ritirare il pettorale. L'expo è una bolgia ma gli organizzatori sono gentilissimi ed estremamente efficienti. Il fatto di essere giunti dall'Italia per correre la loro umile gara è un motivo sufficiente per venire ricoperti dai complimenti e dagli in bocca al lupo. La sensazione è quella di essere ad una corsa di paese (con le dovute proporzioni) dove tutti si conoscono e dove il meccanismo è talmente oliato da anni di esperienza che nulla può andare storto.
La sera ceno in un pub e riesco a pareggiare il match contro il jet lag resistendo il più possibile al richiamo del letto. L'indomani mattina, alle 4, sono sveglio. Corsetta mattutina sciogli gambe al parco cittadino quindi si va a Fenway Park per assistere alla partita di baseball dei Red Sox. Che sono pure la mia squadra preferita per quel che riguarda il meraviglioso gioco del baseball (cit.).
La partita è un concentrato di nazionalismo a stelle e strisce. Inno, bandierone svolazzante, soldati in alta uniforme imbraccianti fucili, soldati feriti di ritorno dalla guerra, canzone patriottica, altri soldati. Insomma, i tempi morti del match servono a celebrare la nazione. Noioso ma a loro piace. Per il resto del match mi diverto. Lo spettacolo è tranquillo e godibile e Boston vince. Finita la partita (3 ore la durata del match), ci incamminiamo per una passeggiata e per raggiungere il luogo del pasta party pre gara. Il nostro turno è previsto alle 18.30, arriviamo al punto stabilito e, con orrore, notiamo come ci sia una coda pazzesca. Ci accodiamo aspettiamo pazientemente. Ad un certo punto il serpentone comincia a muoversi e, nel giro di 5 minuti, siamo dentro. Da paura, un'organizzazione clamorosa. E ancora non avevo visto nulla.
Gli spaghetti meat balls non sono il massimo ma l'atmosfera è piacevole. Faccio qui la conoscenza con la birra Samuel Adams, la birra di Boston. E' un incontro estremamente piacevole tant'è che tutt'ora siamo in buoni rapporti.
Termina anche la cena e si rientra in hotel, non prima di aver recuperato un paio di muffin ai mirtilli da 1 etto l'uno per la colazione del giorno dopo. L'indomani, sveglia molto presto di cui, ovviamente, non c'era bisogno, sbrano i muffin e mi dirigo verso il parco per prendere il bus che mi porterà ad Hopkinton, luogo della partenza. Arrivato al parco mi trovo di fronte la fila di scuolabus che attendono di essere pieni per poi muoversi. Dopo una breve attesa salgo sul mezzo e quando tutti sono pieni ci si muove in fila indiana. Lungo il tragitto siamo scortati dalla polizia in moto che ferma le corsie di immissione in modo che nessuno si inserisca all'interno della carovana gialla. La fila di scuolabus procede compatta. In una quarantina di minuti arriviamo al paesino dove partirà la maratona: Hopkinton. Ci parcheggiano in una scuola dove ci sono una miriade infinita di bagni chimici e banchetti con caffè, bevande, power bar e tanti altri prodotti che possono risultare utili alla causa. Fa freddo, è un po' umido, c'è poco da fare se non stare seduti a guardare gli altri runners e a scambiarsi opinioni.
Finalmente passano anche le due ore di attesa ed è tempo di muoversi verso lo start. Mi agghindo, consegno la sacca al bus di riferimento ed a piedi vado verso la griglia di partenza. Il sole comincia ad alzarsi e l'atmosfera si fa carica.
Sono alla partenza della Boston Marathon, la più antica maratona del mondo. Quella con più storia, più tradizione. Quella che un maratoneta dovrebbe sognare più di ogni altra. Mi reco in zona partenza e....questa è la partenza ? Ma siamo in mezzo ad un incrocio!
Niente Ponte di Verrazzano o, che so, Villa Pisani. Se ci penso persino la mezza di Bassano con la partenza sul ponte degli alpini ha un luogo di partenza più bello. A Boston si parte in mezzo ad una strada, come nelle corse di paese. Perchè alla fine, la sensazione che ho avuto è che lo spirito di corsa di paese sia proprio ricercata, una cosa che non vogliono togliere a questa corsa. Ed è proprio questo a renderla unica e inimitabile.

(Continua...)


 
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