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Longarone non c'è più
Me la ricordo bene la prima volta che sentii parlare del disastro del Vajont. Ero piccolo, avrò avuto 7 o 8 anni e sentivo mio papà parlarne con un amico.
Chiesi a mio padre che mi raccontasse cosa fosse successo in quel gran disastro di cui parlavano e lui, per farmelo capire, mi disse che un lago aveva tracimato perchè un pezzo di una montagna c'era caduto dentro e l'acqua uscita aveva travolto il paese sottostante. "E' come se prendi un bicchiere pieno d'acqua e ci butti dentro un sasso, l'acqua se ne esce di fuori no? Ecco, così è accaduto anche con la diga"
Allo stesso modo, il giorno successivo al disastro, nel 1963, Dino Buzzatti aveva scritto un articolo sul Corriere della Sera dove usava la stessa similitudine:
"Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata
sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di
metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla
tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano
difendersi."
Alle 22.39 di oggi saranno trascorsi esattamente 50 anni dal momento in cui, nella zona di Longarone, si scatenò l'inferno.
Sarà che è una tragedia che fin da piccolo mi ha colpito e affascinato. Forse per il fatto che era vicina a casa e che davanti a quella diga, che ancora oggi è poco meno che completamente intatta, ci passavo sempre per andare in montagna. O forse perchè è una storia terribile e incredibile e uno non può restarne indifferente.
O ancora perchè è un avvenimento che io non ho vissuto ma nella mia famiglia i più vecchi se lo ricordano bene e sanno raccontarmi dov'erano e cosa facevano quando accadde.
Sarà per tutto questo ma l'anniversario del Vajont è una cosa che mi va di ricordare. In particolare oggi che ricorrono i 50 anni da quel giorno.
Non so se sono un tipo sensibile, ma sono sensibile a quanto avvenne quel giorno e quindi lo voglio ricordare.
Tutto qua.
Il 9 ottobre 1997 vidi in TV la prima dello spettacolo di Marco Paolini sul Vajont. Lo registrai. Una ricostruzione straordinaria, in diretta sulla diga stessa illuminata dai riflettori e circondata da pochi spettatori seduti, una lavagna e le telecamere RAI.
RispondiEliminaIl video è stato visto quasi da tutti quelli che conosco. Su youtube lo trovi. Ci sono dvd e se ne è parlato per anni. Se non l'avessi visto, guardalo. E' veramente istruttivo. Come tutti i lavori successivi di Paolini.
Io ho i calcoli fatti a mano del dimensionamento della diga (che non fece una piega), perché lavoro nella Società che la rilevò - dalla Sade - nel 1963, ma senza ricevere i documenti (allora riservati) che informavano sulle precauzioni necessarie per limitare l'invaso ad una quota massima di sicurezza (nota, ma non comunicabile)...
Sarebbe anormale rimanere insensibili di fronte a tutto ciò. Ogni volta che ci ripenso, mi si stringe un groppo in gola. La scorsa settimana a Lugo hanno fatto un incontro per ricordare l'accaduto, e un attore ha reinterpretato il monologo di Marco Paolini. Da un certo punto in poi ho aperto i rubinetti...penso sia sensibilità, senso civico e rispetto nei confronti di chi non c'è più. Quello che è mancato al tempo...
RispondiEliminaA maggior ragione se pensiamo che li sotto c'era un paese...
RispondiEliminaConosco bene lo spettacolo. L'ho visto più volte e recuperato proprio in questi giorni. Il titolo del post è proprio una battuta che Paolini recita all'inizio del monologo
RispondiEliminaNon posso che sottoscrivere!
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